Che nessuno separi ciò che Dio ha unito

Tappa Estella – Los Arcos, 21 km.

Sveglia ore 5,30. E appena sveglia è arrivata l’angoscia. Quella che arriva ogni mattina quando mi sveglio e che mi ricorda che i miei bimbi non sono più qua con me. Però mi sono alzata subito e l’ho mandata via iniziando a prepararmi. 

Mi fa venire in mente che i giorni dopo il 3 novembre il dolore era così grande che l’unico modo per alzarmi da letto era mettermi a fare cose concrete. E così per le prime settimane mi sono messa a carteggiare e dipingere le porte. Se no sarei stata a letto a piangere. Impegnarmi in questa attività molto fisica mi ha aiutata a non pensare e a superare quel momento di dolore infinito. Tempo dopo ho letto questa poesia anonima:

“Nonna, come si affronta il dolore?”

“Con le mani, tesoro. 

Se lo fai con la mente il dolore invece di ammorbidirsi, s’indurisce ancora di più.”

“Con le mani nonna?”

“Si. Le nostre mani sono le antenne della nostra anima. 

Se le fai muovere cucendo, cucinando, dipingendo, suonando o sprofondandole nella terra invii segnali di cura alla parte più profonda di te. 

E la tua anima si rasserena perché le stai dando attenzione. 

Così non ha più bisogno di inviarti dolore per farsi notare.”

“Davvero le mani sono così importanti?”

“Si, bambina mia. 

Pensa ai neonati: loro iniziano a conoscere il mondo grazie al tocco delle loro manine. 

Se guardi le mani dei vecchi ti parlano della loro vita più di qualsiasi altra parte del corpo. 

Tutto ciò che è fatto a mano si dice che è fatto con il cuore. 

Perché è davvero così: mani e cuore sono connessi. 

I massaggiatori lo sanno bene: quando toccano il corpo di un’altra persona con le loro mani creano una connessione profonda. 

E’ proprio da questa connessione che arriva la guarigione.”

“Le mie mani nonna… da quanto tempo non le uso così!”

“Muovile tesoro mio, inizia a creare con loro e tutto dentro di te si muoverà. 

Il dolore non passerà. 

Ma si trasformerà nel più bel capolavoro. 

E non farà più male. 

Perché sarai riuscita a ricamarne l’essenza.”

È esattamente quello che stavo facendo! Lasciare fare al mio corpo, le mie mani, quello che la testa e il cuore non erano in grado di fare: sopravvivere a un dolore così grande.  E in questi giorni di Cammino, a ogni passo sento che mi alleggerisco da tutta la pesantezza di questi anni. A volte scendono le lacrime, a volte singhiozzo abbracciata ai pellegrini che piangono con me il mio dolore in questa comunione di anime! Il Cammino è anche questo! Ognuno porta il suo fardello ma lo condivide allo stesso tempo, uno affianco all’altro i dolori di tutti vengono compresi e leniti. Affianco a noi sterminati campo di grano. La natura dolce e gentile blandisce le nostre anime tormentate con la sua bellezza divina.

 E mi ritrovo a fare mille foto come se volessi catturare nello schermo quel dono che Dio ci ha riservato. 

Mi salta in mente un ricordo di un altro viaggio, quando ho visitato il ghiacciaio Perito Moreno in Argentina e quel ghiaccio azzurro mi affascinava e lo volevo portare via con me, per lo meno in fotografia. I ricordi entrano improvvisi e si sommano ai pensieri.  Eccone un altro.

Ma i miei piccolini come avranno fatto a sopravvivere a questo dolore infinito? Per un mese e mezzo non è stato permesso loro di vedermi. Pare si chiami ‘neutralizzazione dei rapporti familiari’. Ma che senso ha? Io non lo capisco. Mi fa pensare alla tortura.

Una frase che mi è arrivata in quei primi mesi è stata:

‘che nessuno separi ciò che Dio ha unito’.

Solo Dio può separare una mamma da suo  figlio, quando lo chiama a se’ per progetti che noi non comprendiamo.  In fondo noi siamo come un tappeto di cui però possiamo vedere solo la parte dove ci sono i nodi. Se potessimo vedere l’altro lato capiremmo il disegno che c’è dietro  a ogni gioia e a ogni dolore, perché nulla succede per caso.  

Mentre cammino emozioni e immagini si rincorrono. 

L’anno scorso ho visto: Il quaderno di Tommy’. Un film che ha commosso il mondo intero. 

Parla di una mamma che sta morendo di tumore e scrive un libro per suo figlio.

L’ho guardato senza sapere quello che sarebbe successo il 3 novembre e ho pianto pensando al dolore di quella mamma al pensiero di non poter essere vicina a suo figlio nella sua crescita. Non poterlo accompagnare mentre impara ad andare in bici senza rotelle, non poter essergli vicino quando inizia a scrivere e leggere, non poter essere con lui quando piange per la sua prima delusione amorosa… 

Ma in quel caso l’aveva deciso Dio: non possiamo capire come mai, vediamo solo un lato del tappeto, e non possiamo fare altro che accettarlo.

Non riesco ad accettare invece questo: perché i miei figli devono vivere come orfani? Perché non possono avere l’abbraccio della loro mamma, dei nonni, dei loro amici?

Noi siamo ancora in vita.

C’è un altro bimbo che è privato dell’abbraccio della sua mamma da più di dieci mesi.

È malato e senza le cure della sua mamma, una famosa pianista, sta diventando cieco. Ma continua ad essere in una casa famiglia, non lo fanno tornare da lei. 

Dicono che i desideri che si esprimono nel Cammino diventano realtà. Ecco camminando io prego anche per lui, per Gioppy e per tutti gli altri bimbi e spero che possano tornare il prima possibile dalle loro famiglie.

Basta orfani di genitori in vita.

E ora lascio la parola a Laura Ruzza.

2 commenti su “Che nessuno separi ciò che Dio ha unito”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Translate