Etapa Tossantos – Atapuerca (28 km)
Oggi piove. Mentre mi preparavo per partire l’idea di camminare nella pioggia non mi piaceva invece mi sono dovuta ricredere. Questo viaggio è anche scoprire gli elementi della natura: la terra, il vento, la pioggia,il fuoco… ed è una nuova sfida!

Per fortuna sono stata previdente e ho portato con me le ghette! Nessuno ce le ha e hanno tutti paura di bagnarsi piedi. L’acqua entra nelle scarpe e favorisce la comparsa di fastidiose vesciche. Un dettaglio non da poco quando devi camminare per chilometri. Molti Pellegrini sono già andati in ospedale per farsele curare mentre altri se le bucano con ago e filo.

La pioggia comunque non ci ferma. Sotto lo scrosciare dell’acqua piovana continuano gli incontri del Cammino. È incredibile perché ognuno di noi parte a orari diversi e da cittadine diverse ma poi ci ritroviamo tutti lungo la strada. A volte si ritrovano vecchi compagni come l’avvocato romano. Mi parla di una sua paura, lo fa soffrire così tanto che io sento il suo dolore come se fosse mio e piangiamo insieme. Le anime dei pellegrini durante il Cammino spesso si fondono. I corpi non bastano a tenerle separate e così proviamo all’unisono gli stessi sentimenti, le stesse emozioni. Diventano di tutti. In una meravigliosa comunione di anime. E così, nel Cammino si piange, si ride e si scherza, ci si dispera, si condivide, tutto è anima e cuore.

Certo ci sono anche i piccoli ostacoli, le quotidiane difficoltà. Per esempio, i soldi. Da Santo Domingo a Burgos incontriamo solo paesini piccolissimi e quasi deserti, si chiama la “Spagna Vaciada”, la Spagna che si svuota per andare verso le città. In questi avamposti non c’è quasi nulla. Ci si sveglia con il canto del gallo e ci si immerge in un luogo fuori dal mondo civilizzato. Non ci sono farmacie, supermercati e bancomat. Non ci era stato detto. Le guide che abbiamo letto non riportano questo dettaglio.
Molti lungo il cammino mi parlano anche dei loro nonni, della loro infanzia con i nonni. Una cosa che proprio è difficile sopportare è sentire il dolore degli altri. Penso ai miei genitori, a quanto stanno soffrendo perché non possono vedere i loro nipotini e che i miei figli stanno perdendo anche quell’amore, l’amore dei loro nonni.
Mi chiedo come facciano a stare serene le persone che prendono decisioni come quelle di sottrarre i bambini alle proprie famiglie? Non hanno rimorsi di coscienza? Dubbi? Non si chiedono mai se hanno commesso errori? E quanto quegli errori possano avere traumatizzato la vita di piccoli innocenti per sempre? Qualcuno, dopo il mio racconto, mi ha detto: << Ringrazio il cielo di non essere come loro>> e anche io ringrazio perché non sono come loro e mai lo sarò.
Stamattina ho pianto mentre pregavo e camminavo. Ho pregato anche per gli altri bimbi, perché possano tornare dalle loro mamme, perché questa ingiustizia abbia fine.
Spero che un giorno arrivi un nuovo Basaglia, uno che abbia il coraggio di chiudere le case famiglie, così come Basaglia ha avuto il coraggio di chiudere i manicomi. Da un report fatto dalla regione Piemonte infatti è emerso che solo il 14% dei bambini avrebbero dovuto essere veramente tolti alla famiglia perché in pericolo di vita. In tutti gli altri casi c’è stato un errore clamoroso di valutazione.
La soluzione prospettata sarebbe chiudere le Case Famiglia e per il 14% dei bambini in serio pericolo si potrebbe ricorrere alle famiglie affidatarie, ovviamente cercando prima tra i parenti e amici delle loro famiglie.
Perché, per esempio, nel mio caso non potevano essere tolti a me. Solo in caso di extrema ratio si possono portare via i bambini da una famiglia. Io sono una madre sana e accudente e con me i bambini di certo non erano in pericolo di vita. Lo trovo un atto illegale e in ogni caso per evitargli traumi avrebbero dovuto darli almeno a un nostro parente. Noi abbiamo richiesto che fossero dati in affidamento ai nonni o alla zia, nella malaugurata ipotesi in cui si fosse comunque deciso di non farli immediatamente tornare da me. Non c’è stata nessuna risposta. Nessuna!
A questo proposito cito le parole di Vincenza Palmieri Presidente INPEF e Consulente Tecnico Forense che dice: Chiudiamo i “manicomi per bambini”.
«Ribadisco la necessità di aiutare le famiglie nel proprio “territorio”. Lo dico, con riferimento agli interventi autoritativi che disgregano il nucleo familiare anziché supportarlo, come previsto non solo dalla Costituzione ma da una serie di norme e di leggi che, al contrario, intendono preservare questo istituto. Dal momento che, in Italia, abbiamo un enorme numero di bambini – per l’esattezza 23 al giorno – che, attraverso interventi autoritativi, vengono collocati lontano dalla loro famiglia e dalla loro casa, è giusto interrogarsi rispetto a questa pratica. Ritengo sarebbe più corretto, ad esempio, laddove ci fosse un adulto maltrattante, che sia quell’adulto ad essere allontanato e non il bambino. Non posso accettare l’idea che, in tutto il nucleo familiare – padre, madre, nonni, fratelli – non possa esserci un familiare valido. Va “punito” (corretto, aiutato, sostenuto) solo l’adulto abusante, colui che sbaglia, non il bambino. Aiutare le famiglie a casa loro, quindi, significa offrire ogni sostegno necessario senza smembrare le famiglie: dare loro una casa, quando necessario, quindi, politiche alloggiative, politiche occupazionali, che permettano a mamme e papà di avere un lavoro che li aiuti a stare il più possibile vicino ai figli, ad esempio, per mezzo dei micronidi aziendali. Andrebbe invece evitato l’orrore di strappare con la forza un bambino al proprio genitore, perché povero o troppo amorevole o “iperprotettivo” o cosiddetto disfunzionale, inidoneo, simbiotico (purtroppo le motivazioni sono sempre soggettive, opinabili, discriminanti) per portarlo in una struttura dove può accadere di tutto, dove soprattutto il vissuto di un bambino è sempre abbandonico». Le strutture di contenimento e i “manicomi per bambini” vanno chiusi, su questo non possiamo transigere. Non è possibile che dei bambini vengano contenuti in strutture con le sbarre, dove si usano trattamenti psicofarmacologici invasivi che non vengono nemmeno prescritti, con frequenti passaggi dalla struttura al TSO o al reparto di psichiatria. Sarebbe necessario un serio controllo e andrebbero impedite queste storture del sistema. Dovrebbero funzionare, doverosamente monitorate, soltanto le strutture legate all’emergenza e per il tempo strettamente necessario. In Italia, c’è una relazione diretta tra i posti letto nelle comunità e i posti di lavoro. Tutto si basa su questo connubio. I posti letto in queste strutture non possono rimanere vuoti, perché ognuna di quelle strutture ha bisogno di un certo budget mensile legato ai posti letti. Il personale che oggi è incaricato di compiere interventi autoritativi sulle famiglie potrebbe essere riqualificato per svolgere invece funzioni educative/correttive/riabilitative/integrative/supportive, come necessita». C’è un grande giro di denaro intorno alle cooperative, che oggi sembra stiano tamponando la questione della disoccupazione in Italia. Ogni municipio ha decine tra cooperative e associazioni “convenzionate” che garantiscono i Servizi. Bisognerebbe controllare di più in questo ambito visto che ci sono bandi che coprono, in convenzione-appalti, centinaia di migliaia di posti di lavoro privati. Smantellare questo sistema che scorre sulla pelle dei bambini, che ha bisogno di bambini per alimentarsi e tenersi in vita, significa riqualificare o reimpiegare centinaia di migliaia di operatori del terzo settore ma se mai iniziamo questo processo, mai lo porteremo a termine».
I giudici hanno una responsabilità notevolissima, dovrebbero andare oltre relazioni basate su dati soggettivi, conclusioni fondate su punti di vista e valutare, invece, solo fatti e prove concrete. Ogni tanto ci vorrebbe un magistrato che pensasse: “Troppi casi per essere veri”. E iniziasse a indagare. Sì, ci vorrebbero più indagini, più verità e più giustizia. E, dal momento che la situazione chiama in causa la politica, metterebbero in crisi il sistema politico. Questo non sarebbe un male, tutt’altro. Per il benessere supremo dei bambini e della nostra società tutta, si dovrebbe farlo, e basta».
