Lavacolla – Santiago, 12 km
Li riconosci subito, quelli che hanno avuto un dolore.
Un dolore vero, grande, qualcosa che segna un prima e un dopo.
Qualcosa che ti ha portato a un centimetro dalla morte ma poi non sei morto.
Qualcosa che un secondo prima eri bambina/o e uno dopo ti sei svegliato già grande.
Qualcosa che, anche se passano gli anni, non se ne va e si mostra ogni tanto nei dettagli,
in certi sguardi, nella grafia, piccolino ma c’è, è lì e parla con te.
Li riconosci subito quelli che hanno avuto un vero dolore e non perché sono più cattivi, non perché hanno la scorza più dura:
io non li sopporto quelli che con la scusa del dolore diventano più cattivi.
No, il vero tratto distintivo di chi ha sofferto per davvero è che, in fondo, è: gentile.
C’è come un velo di clemenza sopra tutti i gesti.
Chi ha sofferto davvero non infierisce mai, non calpesta, sta attento a tutto, osserva.
Se può evita di ferire e se non può, preferisce ferire sé stesso.
DarkSkulls
Forse è per questo che quando mi dicono che dovrei essere arrabbiata non ce la faccio?
Io vorrei invece che si arrivasse a un cambiamento e che partisse dai cuori delle persone, per arrivare un giorno a dire nunca màs, mai più.
Mai più richieste di aiuto inascoltate e tradite.
Mai più violenza confusa con il conflitto.
Mai più orfani di genitori in vita.
Io credo fermamente che tutto ciò che è troppo ingiusto a un certo punto finisca e amo questo scritto dell’educatrice Stefania Spisni che, ripercorrendo nella storia come la violenza istituzionale si sia abbattuta su madri e figli durante i secoli, ci fa anche sperare che un giorno tutto questo finisca anche questa volta.
“C’è un fascicolo polveroso nello scantinato di un tribunale polveroso…. Assomiglia a tanti altri fascicoli polverosi sospesi nel tempo, anzi forse è proprio lo stesso fascicolo, che viaggia attraverso i tempi e la storia…. È il fascicolo della strega bruciata sul rogo perché donna malevola, manipolatrice e mentitrice… per Lei, e tutte le altre migliaia come Lei, Giovanni Paolo II chiese pubblicamente perdono… È il fascicolo di una ragazza irlandese e del suo bambino, ricoverati coattivamente in Casa famiglia, ah no, scusate, “mother and baby homes” (chiuse nel 1998): per loro il premier irlandese ha presentato un atto ufficiale di scuse nel 2021. È il fascicolo della madre aborigena e di suo figlia strappatole con la forza e l’inganno e messa in orfanotrofio o presso famiglie “bianche” (oltre cinquecentomila) e ancora, è il fascicolo della madre inglese e del suo bambino strappatole causa povertà ed inviato forzosamente proprio in Australia, nell’ambito del Child Migration Programme (oltre centotrentamila bambini/e) attivo fino a tutti gli anni ’70: per loro nel 2009 lo Stato Australiano ha chiesto formalmente perdono ed il governo britannico ha seguito nel 2010. È il fascicolo di una madre svizzera e del suo bambino strappatole con la forza e collocato in orfanotrofio o presso altre famiglie: per queste “pratiche assistenziali coercitive”, durate fino a tutti gli anni ’70, il Consiglio federale della confederazione elvetica ha presentato le proprie scuse alle vittime nel 2013 e previsto risarcimenti economici. È il fascicolo della madre Inuit e della madre Metis che sono state private forzosamente dei loro figli e figlie, deportate nelle scuole residenziali indigene, attive fino a tutti gli anni ’60: il Premier Trudeau ha presentato le scuse della nazione nel 2015 e indetto la Giornata per la verità e la riconciliazione per i bambini scomparsi. È il fascicolo di Rosemary Kennedy, a cui il padre fece praticare la lobotomia perchè dava scandalo in famiglia, e di tante come lei, compresi tanti bambini e bambine sottoposte a questa pratica fino al 1960 ed oltre: l’inventore di questa “tecnica” prese il premio Nobel, prima che la pratica fosse riconosciuta come “barbara” dalla nuova corrente della psichiatria. È il fascicolo di “Maria”, bambina italiana reclusa in manicomio la cui foto, legata nuda al letto come un Cristo in croce, pubblicata su Panorama nel 1970 fece scoppiare lo scandalo del manicomio dei bambini di Villa Azzurra a Torino: per tutto ciò che veniva fatto ai bambini lì dentro nessuno si scusò mai, ma il primario venne condannato a cinque anni. È il fascicolo manicomiale di Alda Merini: tutto ciò che lei e le altre compagne di sventura hanno subito è ben descritto dalle sue stesse strazianti parole. È il fascicolo di una madre a cui hanno strappato la figlia piccolissima, con l’accusa che un lontano domani avrebbe potuto alienarla al padre. Lei e tante madri come lei, insieme alle loro figlie e figli mai più rivisti, aspettano ancora Giustizia.”

Intanto noi siamo arrivati all’ultima sera prima di arrivare a Santiago! Arriviamo con il buio, fa molto freddo e siamo anche molto stanchi e così decidiamo di guardarci un film, come se fossimo a casa, qualcuno è in cammino da più di un mese e l’idea di una serata casalinga piace molto. Non sappiamo quale film scegliere ma poi vedo che ne è uscito uno sull’Argentina. Io sono una appassionata di cinema argentino e così scegliamo Argentina 1985. Inizio a guardarlo senza sapere di cosa tratti, ma poi capisco… La psicologa che mi ha aiutata negli anni delle richieste di aiuto inascoltate mi diceva sempre: “Elena non si preoccupi, la giustizia arriva sempre. Lei deve solo sedersi e aspettare. Pensi alle Madres de Plaza de Mayo, nel 1985 c’è stato il processo contro i militari e hanno avuto giustizia.” Il film parla proprio di quel momento. Di nuovo mi chiedo se il caso esista. Stavo pensando ai momenti in cui avviene il cambiamento e torna la giustizia e ‘per caso’ guardo questo film che parla dell’altra Norimberga: il processo per i crimini commessi dalla dittatura militare argentina (1976 – 1983), che provocarono oltre 30mila desaparecidos.
Argentina, 1985 è infatti ispirato alla vera storia dei procuratori Julio Strassera e Luis Moreno Ocampo, che nel 1985 osarono indagare e perseguire i responsabili della dittatura militare argentina. Senza lasciarsi intimidire dal regime, formarono un giovane team legale di improbabili eroi per combattere Golia. Costantemente minacciati, insieme alle loro famiglie, lottarono contro il tempo per dare giustizia alle vittime. «Ricordo ancora il giorno in cui Strassera formulò l’atto di accusa – spiega il regista – : il boato dell’aula del tribunale, l’emozione dei miei genitori, le strade finalmente in grado di festeggiare qualcosa che non fosse una partita di calcio. Il processo del 1985 permise alla giustizia argentina di rivendicare un diritto a lungo negato. Inaugura la democrazia e condanna il ricorso alla violenza come possibilità». Strassera lo definiva «il processo più importante dopo quello di Norimberga» e la sua arringa finale si concludeva con nunca màs. «Quando il terrorismo di Stato prende piede nella società, si tenta sempre di annullare i cittadini e di eliminare la possibilità di comunicare – aggiunge il protagonista Darìn – Questo fa sì che in molti casi la verità ci metta molto tempo per venire a galla». Una storia che vuole essere un esempio: «Le giovani generazioni – conclude Darìn – devono sapere perfettamente qual è il mondo di oggi e apprezzare valori come la dignità, il non gettare la spugna, il guardare avanti con verità e giustizia. E soprattutto l’umanità».
E allora continuiamo a guardare avanti con verità e giustizia e spero che voi guardiate questo meraviglioso film che ci fa ricordare ancora una volta che la giustizia arriva sempre, per tutti.
La notte continuo a sognare il film e c’è una vocina molto insistente che mi dice: devi scrivere dei diritti costituzionali traditi. Io non sono un avvocato e non so bene di cosa mi stia parlando la vocina ma per farla stare zitta le prometto che lo farò. Mi metterò a studiare e scriverò anche di questo. Ma non oggi perché mi mancano gli ultimi 12 km per arrivare a Santiago!

Stavolta arriviamo ognuno per conto suo sapendo che l’appuntamento è per le 12,00 alla Cattedrale. Ognuno ormai va al suo ritmo, e il mio è più veloce perché anche stavolta non ho nessun dolore (e nessuna vescica!) e saltello felice tra una tappa e l’altra. Credo sempre che il merito sia di tutte le persone che camminano virtualmente con me dall’Italia! E anche stavolta vi ringrazio perché è stato stupendo camminare con voi!!! Grazie per esserci!
Quando arrivo a prendere la mia Compostela (anzi dovrei dire la nostra) ci sono ad aspettarmi Xan, Gioele e Federica che erano partiti alle sei del mattino per essere puntuali al nostro appuntamento. Gioele ha appena chiesto a Federica di sposarlo con tanto di anello di diamante. È un momento di grande emozione! Li vede la giornalista Patricia Calveira de La Voz de Galicia e io traduco per loro una intervista su questo momento magico. Eccolo:
“Questa coppia siciliana ha iniziato il 2023 con una proposta di matrimonio alla fine del Cammino di Santiago. Due pellegrini, Gioele e Federica, si sono fidanzati al loro arrivo all’Obradoiro e sono stati protagonisti di un momento romantico. Quando Federica Briguglio è arrivata con il fidanzato nella capitale portoghese per percorrere insieme il Cammino di Santiago, la fine della loro avventura non se lo aspettava. La 23enne italiana e Gioele Smeraldi, 26 anni, hanno lasciato Lisbona l’11 dicembre. Hanno camminato fino a Coimbra, ma dicono che era impossibile continuare lungo questa rotta giacobina perché “era tutto chiuso”. Decisero allora di recarsi a León e da lì intraprendere il Cammino Francese fino a Compostela.
La coppia di Messina ha trascorso il capodanno a Palas de Rei, dove si sono uniti ad altri pellegrini (anche io!) per godersi un cenone di capodanno a base di pasta all’amatriciana presso l’Ostello comunale. Raccontano che non hanno aspettato fino a mezzanotte per mangiare l’uva, ma si sono salutati alle dieci e mezza, visto che il giorno dopo li attendevano altri 30 chilometri sotto la pioggia. Era la prima volta che Federica faceva il Cammino, la seconda per Gioele (che lo aveva già fatto l’anno scorso), e il loro arrivo all’Obradoiro è stato memorabile.
«Ero tranquilla, stavo registrando un video della cattedrale di Santiago, e quando mi sono voltata ho visto lui, con l’anello. Si è inginocchiato e mi ha chiesto di sposarlo», racconta la giovane, che si è messa a piangere e non è riuscita nemmeno a pronunciare un «sì, lo voglio» in risposta. Non se l’aspettava, è stato come un sogno, racconta, e il resto della piazza si è unita alla festa, visibilmente commossi dalla scena. Gioele, che fa il cuoco in una pizzeria, ci svela che ha deciso di chiedere la mano alla maestra di ballo che frequenta da tre anni, prima di lasciare la Sicilia. Portava la fede nello zaino, nascosta, e assicura che durante il viaggio gli è stato ancora più chiaro di aver fatto la scelta giusta: «Conservo la libertà che ti trasmette il Cammino. E, facendolo insieme, mi sono sentito altrettanto libero”. La sua fidanzata, che ha conosciuto perché frequentava la chiesa dove suo padre è pastore, ha apprezzato soprattutto la bellezza della natura, riconnettendosi «con l’energia che viene dalla terra e che nella vita normale a volte si dimentica».
La coppia partirà oggi per Finisterre e il 9 gennaio torneranno a casa. Ancora non sanno quando avrà luogo esattamente il matrimonio. Prima devono risparmiare per la celebrazione, chiariscono. E, sebbene non abbiano deciso dove sarà, valutano la possibilità di sposarsi a Santiago per chiudere il cerchio che circonda il capitolo delle tradizioni giacobine tra le coppie, perché -in parte- hanno intrapreso questo pellegrinaggio “con un detto, che dice che se finisci il Cammino con qualcuno, starai insieme per il resto della tua vita».
Stupendo! Mi fa ricordare che la vita continua, che per ogni dolore l’universo ci darà gioia perché non vuole che noi soffriamo. Così mi aveva detto un padre nel cammino.
Ricorda che ci sarà sempre un’altra opportunità
Un’altra amicizia
Un altro amore
Una nuova forza
Per ogni fine c’è un nuovo inizio.
Antoine de Saint-Exupéry
La giornalista tra l’altro è la stessa che aveva fatto un articolo su di me ad agosto, mi riconosce subito e decide di scrivere un articolo anche sulla mia seconda marcia pacifica per i bambini portati via ingiustamente. Possono tutte queste essere solo coincidenze? Io non ci credo…

Visto che siamo tra i primi dieci Pellegrini arrivati oggi a Santiago abbiamo anche un meraviglioso pranzo gratis nel ristorante più bello di Santiago. Insomma i regali non finiscono mai. Però prima andiamo alla messa tutti insieme per pregare per i bambini portati via ingiustamente e lasciamo i sassolini dei miei bimbi sotto una statua della Madonna vicina all’altare.

Anche il prete nella predica ci ricorda che dobbiamo essere semillas de esperanza, semi di speranza, e portatori di pace, che è stato un po’ il fil rouge di questo cammino
Uscendo incontriamo il resto del gruppo. C’è molta emozione. “Ce l’abbiamo fatta!” si ascolta in tutte le lingue del mondo. Non tutti però. Un ragazzo di 35 anni è morto. Maria è dovuta tornare a casa prima perché il suo dolore alla gamba non è passato. Tornerà a finire il cammino un’altra volta. Fernando invece arriverà solo nel pomeriggio. Non riusciremo ad incontrarci ma mi scriverà un messaggio stupendo, eccolo: “Dopo aver percorso 800 km sono arrivato oggi 3 gennaio 2023 a Santiago de Compostela. Ho avuto giornate grigie, soleggiate, piovose, ventose. Ho attraversato deserti. Montagne. Fiumi in piena. Silenzi. Debolezze e pregi che sono nati da lì. Ho pianto ogni giorno per questo viaggio perché mi sentivo felice e quando ho depositato la mia offerta ai piedi dell’Apostolo Santiago, ho capito la cosa più importante. Il cammino non era finito… era solo l’inizio.”

Noi invece andiamo al nostro pranzo ma io lo lascerò a metà perché un aereo mi aspetta. Prima però corro a comprare una croce di Santiago per Nadia, che ha di nuovo fatto il Cammino con me, e due felpe di Santiago per i miei piccoli Pellegrini. Nella speranza di poter presto fare il cammino con loro. E in quel cammino, come dice John Cleal, cercherò di insegnare ai miei figli ad annusare la terra, ad assaggiare la pioggia, a toccare il vento, a guardare le cose crescere, ad ascoltare il sole che splende e la notte che scende…