Ieri siamo arrivati al monte O Cebreiro stanchissimi, abbiamo mangiato e siamo andati in un albergue municipale. Per fortuna era caldissimo! Molto diverso da quello di Villafranca dove invece non c’era proprio il riscaldamento. Anche la signora alla reception è una persona molto accogliente: sorride sempre e mi da pure un phon per i capelli, nei municipali è una cosa piuttosto rara. Ci fa sentire subito a casa. Nell’albergue ci sono più di 100 posti letto ma in questo momento ne occupiamo appena una decina. Tra i pellegrini c’è Raúl, che è un po’ l’anima del gruppo e ha sempre una parola divertente per ognuno di noi. Poi c’è Fernando, uno scrittore argentino che sta facendo il cammino per scrivere un romanzo. Ovviamente ci sono anche degli italiani e pure un coreano.

La mattina ci svegliamo verso le otto ma è impossibile partire prima delle nove e trenta: fa freddissimo, è ancora buio e la montagna è avvolta nelle nuvole. Poi come sempre partiamo ognuno per conto suo ma ci ritroviamo magicamente nei bar e nei ristoranti lungo il cammino per poi andare a dormire tutti a Triacastela. Oggi è una giornata veramente invernale: piove, c’è tantissimo vento, nebbia e freddo! Siamo proprio tra le montagne! Anzi in cima alle montagne! Pensavo che dopo il Cebreiro ci aspettassero solo discese invece dobbiamo ancora arrampicarci fino ad Alto Poyo. E così, io, da super freddolosa che ero, affronto salite, vento, pioggia e freddo! Stupendo! Da una grande forza superare le proprie paure! E come scrivevo nei giorni scorsi è bellissimo camminare con la pioggia che ci accarezza il viso e sentendo la voce e l’energia del vento!

Intanto ripassiamo negli stessi posti in cui sono passata quest’estate. Ma ne’ io ne’ il camino siamo gli stessi.
Non esistono due viaggi uguali che affrontano il medesimo cammino
Paulo Coelho
Però arrivano i ricordi. Mi viene in mente in particolare di quando nella pace del cammino si sentivano le litigate fra una mamma e suo figlio adolescente. Lei gli imponeva le sue scelte senza consultarlo e lui cercava di ribellarsi a questa forma di dittatura. Nello scontro vinceva lei e lui passava le giornate arrabbiato con sua madre e con la vita. Era un peccato vederli così. E mi è venuto in mente Thomas Gordon, uno psicologo statunitense che si è occupato di comunicazione efficace. Ho studiato il suo metodo e si può dire che mi ha cambiato la vita. Non so se è capitato anche a voi, ma ci sono dei momenti in cui ci sono dei litigi e non si sa come gestirli. Era quello che stava succedendo anche nel cammino. Gordon dice che nei conflitti bisogna usare la ‘negoziazione’ e l’ascolto attivo per risolverli e, anche se si tratta di bambini, di far trovare a loro la soluzione, di dare loro fiducia, di farli imparare a ‘negoziare’. Da quando ho iniziato a usare il metodo Gordon, i conflitti fra i miei bimbi non si sono quasi più verificati e quando succedevano dicevo semplicemente: “mi fido di voi, trovate una soluzione e poi venite a dirmela”. Abbiamo usato la ‘negoziazione’ per qualsiasi conflitto, anche quando coinvolgeva tutti e tre. Ci sedevamo e discutevamo le soluzioni fino ad arrivare a quella che ci convinceva di più, nel rispetto reciproco. Le loro soluzioni erano geniali e il problema dei litigi non solo si è risolto ma è diventato uno strumento di crescita. Imparando a negoziare hanno infatti imparato a far valere la loro parola e a trovare soluzioni che andassero bene a tutti, senza vincitori, né vinti, è stato un educare alla pace
Credo fermamente che la pace nel mondo non possa realizzarsi fino a quando le nostre relazioni interpersonali non saranno pacifiche.
Thomas Gordon
La negoziazione va di pari passo con l’ascolto attivo. Tutti noi abbiamo vissuto i momenti dei pianti disperati dei bambini per quelli che molti definiscono essere ‘capricci’. E se i capricci non esistessero ma fossero reali necessità dei bambini? Era un po’ quello che stava succedendo, la mamma voleva mettere a tacere quello che lei reputava un ‘capriccio’, senza in realtà neanche ascoltarlo. Io consiglio sempre questo esperimento: al prossimo ‘capriccio’ di un bambino o ragazzo invece di dire in modo scocciato di ‘smetterla con queste storie’, provate ad abbassarvi alla sua altezza e guardandolo negli occhi, chiedergli con reale attenzione, cosa è successo. Assisterete probabilmente a un piccolo miracolo. I miei bimbi smettevano di piangere, mi spiegavano perché per loro era così importante quello che stavano chiedendo e insieme poi trovavamo una soluzione. Ma il fatto di essere ascoltati era metà dell’opera. Forse ogni tanto, tutti noi, abbiamo solo bisogno di essere ascoltati. Mi ricordo un episodio avvenuto a me qualche anno fa. Dovevamo comprare delle piastrelle per una casa, e qualcuno stava decidendo senza consultarmi, come un despota. Questo mi faceva stare male. A un certo punto suo fratello mi ha semplicemente chiesto quali piastrelle avrei voluto io. E’ bastato quel momento di reale ascolto per farmi passare ogni rabbia, mi sono anche resa conto che in fondo non mi interessava poi molto delle piastrelle.
Vedendo la situazione spiacevole che si era venuta a creare tra mamma e figlio ho semplicemente chiesto al ragazzo cosa avrebbe voluto fare e perché era arrabbiato. L’ho ascoltato. Mi ha spiegato che voleva fare il cammino ma che avrebbe voluto tornare a Parigi qualche giorno prima per prepararsi per la scuola. Ho parlato della negoziazione a lui e a sua mamma e poi li ho lasciati da soli e loro hanno trovato un accordo tenendo in considerazione le reciproche necessità. E da quel giorno, senza perdenti ne’ vincitori, c’è stata una piccola magia perché quel ragazzo che aveva fatto il cammino fino a quel momento da arrabbiato, era felice!
Ricordiamoci di ascoltarci. Di ascoltarci con empatia, senza giudizio
“Parlo con tutti. Senza interruzioni. La domanda non è con chi parlo, ma chi mi sta a sentire”. (Conversazioni con Dio, Neale Donald Walsch)

Scrivendo questo ricordo mi rendo conto che ho anche parlato dei miei bimbi senza stare male. C’è stato un nuovo click nella mia vita. Mi sono accorta di questo cambiamento il 16 dicembre 2022 alle 17,10. Sono andata con mio padre a sistemare la mostra di quadri da Hug e uscendo ho visto una bambina con la sua mamma. Con mia grande sorpresa ho notato che non c’è stata la fitta di dolore al pensiero dei miei bimbi momentaneamente orfani. Ho invece guardato la bambina con amore e ho pensato che io e le altre mamme stiamo lottando anche per il rispetto dei suoi diritti.
Click.

Nessuno può portarmi via la gioia per i miei figli. Ho deciso che d’ora in poi i ricordi dei miei bimbi non porteranno lacrime ma ringraziamento per i bei momenti passati insieme, nell’attesa di fabbricare insieme altri meravigliosi ricordi.
Proprio come avevo fatto quest’estate quando era partito Leandro:
Oggi parte il mio piccolo amico Leandro. È l’ultimo giorno in cui camminiamo ancora insieme. È un nuovo addio. Un altro. Questo Cammino è stato un continuo ciclo di incontri e addii. Invece di piangere per la sua partenza però decido di ringraziare per i momenti che abbiamo passato insieme, per le notti in cui abbiamo dormito vicini, per i giorni in cui abbiamo camminato raccontandoci le nostre storie e ballando su questo Cammino di Santiago, su questa strada che è la nostra vita.
Siamo noi a decidere come affrontare la nostra vita, se con il sorriso o con la disperazione, non cediamo a nessuno questo potere.
Tu sei immortale, nessuno potrà mai ferirti.
Brian Weiss
In questi giorni inoltre ho attraversato in inverno le montagne di O Cebreiro ed Alto Poyo, d’ora in poi il cammino sarà tutto in discesa. Mi sembra una metafora della mia vita. E ringrazio per essermi lasciata alle spalle quattro anni di violenza (istituzionale e non solo), di richieste di aiuto inascoltate, di dolore… ringrazio perché questa montagna è già dietro le spalle, tutto questo dolore è già stato vissuto e spero che d’ora in poi ci siano solo discese e luce come nel Cammino di Santiago.
Prima di lasciarvi e andare a mangiare cena con tutti i pellegrini vi racconto ancora una storia, si riferisce alla sentenza 10 dicembre 2019, n. 2422, Giud. Di Nicola. Si tratta di un caso di Roma: una mamma vittima di violenza non denuncia suo marito per paura che le portino via i bambini, una situazione purtroppo molto comune ultimamente. Il giudice condanna il marito per maltrattamenti in famiglia ma toglie i figli a tutti e due perché lei non ha protetto i bambini dalla violenza.
La domanda è sempre la stessa: quale fuoriuscita dalla violenza è possibile per una donna con figli?